Ha senso una programmazione musicale in casa Rai?

Molti sono rimasti sconvolti dalla presa di posizione di Carlo Conti, nuovo direttore artistico di Radio Rai, che sembrava volesse chiudere programmi storici come 610 oppure MU e Babylon, quest’ultimi dedicati all’approfondimento musicale (anche a noi è dispiaciuto molto). Una notizia che è parsa frustrante, specie per gli appassionati di musica, che trovavano in quelle poche ore di programmazione settimanale una selezione musicale estranea a quella delle maggioranza delle radio commerciali nazionali. Una notizia ancora più frustrante se si pensa che, in quanto radio di servizio pubblico, la Rai dovrebbe avere la responsabilità di andare anche controcorrente rispetto alle radio private, magari più stressate dal dover mantenere alti gli indici di ascolto.

Una tendenza quindi che sembrerebbe andare all’opposto rispetto alla collega britannica BBC Radio, che anzi promuove attivamente i nuovi artisti inglesi in programmi di prima fascia. In BBC Hottest Records in The World Annie Mac (direttrice artistica della Radio) presenta personalmente le ultime novità discografiche, che siano di artisti di calibro internazionale oppure della neonata band che fa ancora le prove nel proprio garage. Negli ultimi tempi si è notato qualche timido passo in avanti da parte dei network: nuovi artisti come Calcutta, Cosmo e Selton si sono guadagnati un posto in heavy rotation in radio commerciali, ma comunque sono una piccola goccia rispetto all’oceano di mainstream. Sembra curioso, ma ancora si considera l’artista indipendente come come autore di musica “strana” o generalmente “non radiofonica”, quando ci sono migliaia di canzoni che possono benissimo assumere il compito di nuova hit pop.

È indubbio che le radio Rai, in special modo Radio 2, andassero uniformate a livello artistico. Programmi come SuperMax condotto da Max Giusti poco si incastravano con Radio2 Inthemix, in quanto dotate di un pubblico diametralmente opposto. La decisione di Conti di creare una radio di flusso, seppur semplicistica, non è del tutto sbagliata. La programmazione Rai va sicuramente levigata e uniformata, creando una forte identità per ogni canale. Radio1 dovrebbe essere l’emittente dedicata ad un pubblico più adulto, dotata di programmi di approfondimento, mentre Radio2 dovrebbe essere la radio dedicata al pubblico più giovane, con una programmazione musicale più vivace e diversificata. La mission delle emittenti Rai dovrebbe essere quello di creare un grado di affezione all’intero palinsesto, non ad un singolo programma ben realizzato.

Qual’è quindi il senso della ricerca musicale in senso stretto, se poi il singolo di Fabio Rovazzi guadagna il disco di platino grazie allo streaming? È vero che il pubblico medio preferisce ciò che gli viene proposto, ed è spaventato da quelle che sono le novità?

Il grosso problema della musica ai nostri giorni è al contempo il suo più grande punto di forza: la quantità. C’è veramente tantissima musica che esce ogni giorno, così tanta che una sola persona non potrebbe ascoltarla tutta, neppure se facesse quello tutto il giorno. Ve lo dico per esperienza personale. In questa grandissima quantità gli album e gli artisti eccezionali fanno perciò fatica a risaltare, e c’è bisogno di un gran lavoro di ricerca e di ascolto per riuscire ad isolare le vere perle dalle imitazioni. Come disse Carlo Massarini, speaker radiofonico e grande esperto di musica, alla scorsa edizione del Vintage Festival : “Negli anni ‘70 bastava comprare 50 dischi all’anno per essere aggiornati su quelle che erano le nuove tendenze, ed assicurarsi i dischi fondamentali usciti quell’anno. Oggi si dovrebbero comprare almeno 50 dischi al mese!”

Il mainstream rappresenta perciò una sorta di “sicurezza”, specie per le programmazioni radiofoniche: i singoli delle major sono tutto sommato limitati, forti del fatto che i loro passaggi in alta rotazione durano mesi. Il che va bene per un ascoltatore medio, che ascolta musica distrattamente, e che non avrebbe neppure la capacità di memorizzare troppi brani ogni giorno. Dunque la novità in termine musicale è dannosa per i grandi network, in quanto l’ascoltatore potrebbe essere “spaventato” da un genere o uno stile al quale non è abituato? La diffidenza è sicuramente una reazione normale alla novità, certo è vero che se non si prova mai nulla di nuovo non si può sapere se quella cosa può o meno piacerci.

Una selezione musicale di qualità è un po’ come un amico che ti consiglia un nuovo libro da leggere in base ai tuoi gusti: è un titolo che non avevi mai sentito nominare e che magari da solo non saresti mai andato a cercare, ma magari può essere una di quelle letture che ti cambiano la vita. C’è letteralmente un mondo di musica che aspetta di essere scoperto, del quale si ignora completamente l’esistenza. Ovviamente non si può fare di tutta l’erba un fascio: ci sono hit mainstream assolutamente valide e canzoni di artisti indipendenti inadatte a qualsiasi contesto (oppure addirittura brutte). L’abilità di un bravo selezionatore è di andare a scegliere il meglio dei due mondi e proporli in una programmazione omogenea, senza dimenticarsi dell’aspetto radiofonico: nulla vieta di essere fan degli Arcade Fire e al contempo impazzire per il nuovo singolo di Major Lazer.

Non resta che aspettare settembre per ascoltare l’effettiva trasformazione delle emittenti Rai e chissà, magari Carlo potrebbe stupirci tutti.

Tommaso Rocchi
Chi è Tommaso Rocchi
Avidissimo divoratore di musica (e di buona cucina in generale), qui in radio mi occupo della programmazione musicale e di scovare artisti che non avete ancora mai sentito nominare. Se cercate un consiglio musicale, sapete a chi potete chiedere!
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