Video killed the radio star?

Il videoclip è uno strano prodotto dell’industria musicale: raramente il pubblico lo guarda fino alla fine, ma se non ci fosse tutti ne sentirebbero la mancanza.

Da sempre il videoclip è uno spazio esclusivo e privilegiato per il cantante o la band che lo realizza. Certo, ci sono i live, le conferenze stampa che fungono da vetrina … I social! Nel videoclip però il performer può (con un buon regista e un alto budget) creare un mondo “a parte” che affascina il suo pubblico, di cui lui solo è il protagonista.

Nella storia della musica strategie di vendita e arte sono spesso andate a braccetto, ed è così anche per il videoclip, che ha contribuito al pari di altri mezzi a fissare simboli e icone nell’immaginario collettivo.

La grande stagione del videoclip si apre indubbiamente intorno alla fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, quando nascono le televisioni tematiche musicali, come MTV (che nel 1981 apre le trasmissioni con Video Killed the Radio Star dei Buggles). Fondamentali anche i primi show dedicati interamente alla musica come The Old Grey Whistle Test, ma soprattutto l’indimenticabile Top of the Pops.

A questo punto resta da chiedersi quello che in molti prima di noi si sono chiesti: Did video killed the radio star?

Noi preferiamo delegare la questione al professor Roberto Calabretto, docente di Musica negli Audiovisivi presso l’Università degli Studi di Padova.

D:In che modo si sviluppa il videoclip e come prende le distanze dagli altri generi audiovisivi?

R: Nasce negli anni Ottanta ma ci sono state delle forme a mio avviso che hanno preceduto questo fenomeno, perche le modalità di filmare la musica in realtà si avevano anche anni prima. Infatti è mia convinzione che il fenomeno ad esempio dei Soundies sia effettivamente un fenomeno datato molti decenni prima, in cui si filmano all’interno di uno strumento, il Panoram JukeBox delle performance di musicisti jazz, e questo può essere identificabile come un proto-videoclip, un videoclip ante litteram.

D: Come percepiamo oggi il videoclip? Ormai non è concepibile non avere un video di presentazione se si è una band emergente o far uscire un nuovo singolo senza di esso…

R: Infatti ormai è diventato un fenomeno intrinseco al mercato musicale, al punto che anche i vecchi cantautori degli anni Settanta e Ottanta negli ultimi momenti della loro attività hanno accompagnato l’uscita dei loro album e dei loro singoli con un videoclip. Quindi è qualcosa che funge da traino del mercato musicale. Questo può avere degli aspetti positivi o anche negativi, ma secondo me questo non si può stabilire a priori. Dipende sempre dalla qualità del prodotto con cui si ha a che fare. Si tratta di un veicolo promozionale e di un genere intimamente legato all’universo della canzone.

Il mondo della musica colta ha sempre guardato con un certo sospetto queste forme di abbinamento, altri hanno detto che è un prodotto molto commerciale dove le immagini sono in funzione della canzone e della promozione della canzone stessa, e quindi con dei pregiudizi l’hanno giudicato negativamente.

Si tratta del solito discorso, su cui conviene insistere: queste non sono altro che delle pregiudiziali.
Quanta musica, quanta arte di consumo è stata scritta che si è rivelata poi di primissimo piano?

Non c’entra la destinazione del videoclip, c’entra la fattura con cui esso è strutturato. È solo questo che deve sancire la sua bontà o meno.

D: La nostra “abitudine” legata al videoclip, potrebbe essere considerata una delle conseguenze della società dell’immagine? Come se la musica da sola non bastasse a rendere l’idea, ma ci fosse bisogno di un immagine che indirizza i nostri pensieri.

R: Questo è verissimo. Certo che la nostra civiltà dell’immagine pregiudica un ascolto della musica. Però diciamo anche che dato che con le immagini dobbiamo avere a che fare, se le usiamo bene non c’è nulla da demonizzare, a mio avviso. Sono le modalità con cui si usano.
Le canzoni si possono benissimo ascoltare anche senza le immagini, è una forma di ascolto puro, diretto, che è importantissima.

Nel momento però in cui le immagini le metto, la canzone può avere tutto un altro effetto. Può sollevare emozioni diverse, suscitare stati d’animo parimenti diversi, e non c’è nulla di male.

D: Tra i videoclip più visti dagli italiani troviamo grandi successi pop come On the Floor di Jennifer Lopez e Pitbull, Rihanna e Eminem con Love the Way You Lie e Gangnam Style di Psy, oltre ad un inatteso Pulcino Pio.
Quali sono invece i suoi videoclip preferiti?

R: Io apprezzo molto i videoclip che procedono per significati divergenti. Non amo i videoclip narrativi o dove la musica sottolinea il valore delle immagini e viceversa, perché si creano effetti di ridondanza espressiva che annullano il valore estetico di un messaggio.
Oppure i videoclip incentrati sul performer, dove il cantante è costantemente al centro dell’inquadratura e la macchina da presa ruota intorno a lui.

Mi piacciono i videoclip in cui le immagini sembrano seguire la loro logica e la musica sembra seguirne un’altra. Proprio dallo scontro che si viene a creare tra questi due significati opposti possono nascere invece delle situazioni di grande interesse.

Ricordo il video di un singolo di Vasco Rossi, Gli Angeli, realizzato da Roman Polanski. Un videoclip riuscito.

Anche quelli di Madonna sono dei videoclip interessanti, nonostante siano tutti basati su di lei. Riconosco che hanno un gran lavoro sotto. Certi videoclip si possono fare con 2000-3000 euro, altri con decine di migliaia, quindi è abbastanza ovvio che le possibilità offerte dal budget sono ben diverse.

D: I casi di videoclip più strani o memorabili nella storia del videoclip?

R: Fotoromanza di Gianna Nannini, il cui videoclip è stato realizzato da Michelangelo Antonioni è un caso da manuale. Abbiamo un regista di straordinaria bravura, che ha usato la musica benissimo e che molte volte ha fatto uso anche della musica di consumo, penso agli U2, ai Pink Floyd, Gianna Nannini, Herbie Hancock, e quando ha realizzato questo videoclip è fallito davvero miseramente. Questo perché Antonioni non aveva le chiavi per poter entrare nel mondo del videoclip, quindi realizza non solo un videoclip narrativo, ma anche pesantemente didascalico, dove le immagini hanno un montaggio che si adegua ai versi della canzone. È da usare come un vero campionario di ciò che non va fatto nella realizzazione di un videoclip, purtroppo.
Mi dispiace dirlo perché Antonioni è un regista che io adoro ma, ahimè, bisogna essere obiettivi

D: Però qualcuno tra i fan ha sollevato la possibilità che in realtà Antonioni con le immagini didascaliche di Fotoromanza volesse proprio fare dell’ironia su questo tipo di videoclip così superficiali.

R: Lo escludo. In un’intervista ha detto di avere pochi soldi per la realizzazione del videoclip, e questo spiega la trascuratezza nella sua costruzione. È un caso singolare per un regista che ha fatto del rigore stilistico uno dei suoi punti fermi.

D: Come immagina in futuro il videoclip? C’è la possibilità che si sviluppi senza regredire in forme già viste?

R: Il videoclip è un’esperienza di sincretismo incredibile. C’è stata la forma del film-concerto, dei Soundies, della musica per film… Io penso che giungerà ad un punto di saturazione e poi si procederà con altre soluzioni, ma lo dico senza troppa cognizione di causa sinceramente!

D: Il videoclip perfetto?

R: Un grande regista che usa la musica e poi crea delle catene di immagini, in cui ogni situazione musicale è molto distante da quella delle parole, per poi vedere che risultato esce da queste due reciproche esplosioni

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