Nell’era dello streaming, le band indipendenti fuggono verso le major

Qualcosa di grosso si sta muovendo nel mondo della musica, sia italiana che internazionale. Il 2017 è stato un grande anno di cambiamenti per band come Arcade Fire, Grizzly Bear e LCD Soundsystem: band fondamentali per il panorama indipendente americano e non solo, per la prima volta pubblicano un album con una major, rispettivamente la Sony, RCA e Columbia.

“Ecco” – diranno i puristi – “ora venderanno la loro anima al diavolo, accetteranno compromessi e faranno della musica orribile”. Eppure, nonostante i preconcetti che si hanno sull’industria discografica, sono proprio le grandi case discografiche che potrebbero salvare le band indipendenti nell’era dello streaming.

Partiamo dall’inizio: prima di internet, il successo di un’artista o di una canzone dipendeva quasi unicamente dalle radio. Vere e proprie influencers e taste-makers ante-litteram, le radio potevano provocare un’enorme visibilità ad un brano o ad un artista, portando ad un sensibile aumento di pubblico e conseguentemente un netto aumento degli introiti. Da qui la voce né confermata né smentita che le grandi etichette pagassero profumatamente i passaggi in radio dei loro artisti di punta.

Internet riuscì però a dare una piccola scossa a questo sistema ormai rodato: grazie alla libera condivisione di files e sopratutto una comunicazione molto più veloce, piccole band potevano essere conosciute in tutto il mondo (come gli Arctic Monkeys). Gli stessi Arcade Fire hanno ribadito più volte come internet sia stato di grande aiuto alla musica indipendente. Ma come è cambiato il modo di promuovere la propria musica, ora che lo streaming incassa ben più della vendita, sia fisica che digitale?

Il procedimento è più o meno identico: così come un passaggio in radio, piazzare una canzone in una playlist seguita da più di 7 milioni di persone rappresenta un processo obbligatorio per far conoscere i nuovi lavori di un’artista. E nonostante nel 2015 Spotify avesse ufficialmente bandito il payola (il procedimento per cui un’etichetta paga per avere una maggiore visibilità per i propri artisti), è stato riportato che Sony, Universal e Warner posseggo complessivamente il 20% della compagnia. Evidentemente questa influenza serve effettivamente a qualcosa, visto che il numero di artisti affiliati a queste etichette nelle playlist di tendenza è decisamente maggiore rispetto a chiunque altro.

Lo streaming sembra perciò essere il motivo per cui sempre più band indipendenti migrano verso le major: miglior posizionamento, maggiori ascolti e quindi maggiori introiti. Si tratta di un passaggio ormai obbligatorio, e in parte già rodato grazie al processo della distribuzione, ovvero quandol’album viene pubblicato da un’etichetta minore ma la distribuzione viene affidata ad una major, dotata di mezzi ben più potenti. È il caso dei già citati Arcade Fire con il loro album del 2013 Reflektor, mentre in ambito italiano abbiamo l’esempio degli ultimi album degli Ex-Otago e Lo Stato Sociale (entrambi distribuiti da Universal).

Fin qui tutto bene no? Artisti validi come Arcade Fire ed associati girano di più, magari un ascoltatore generico viene colpito da alcune canzoni e diventa un fan, inizia ad ascoltare altri artisti simili e via dicendo. Siamo sicuri che sia così?

Se andate a visualizzare la pagina Spotify dei Radiohead, la band inglese arriva a circa 6 milioni di ascoltatori al mese. I sopra citati Grizzly Bear, The War On Drugs e LCD Soundsystem arrivano suppergiù intorno ai 2 milioni di ascoltatori. Non male dite? Basta che guardiate i profili di Ed Sheeran o di Luis Fonsi per deprimervi, visto che vantano quasi 40 milioni di ascoltatori al mese. Capirete bene che se band rodate e conosciute a livello internazionale fanno fatica a non affogare nel mondo degli ascolti in streaming, per le piccole band ed esordienti questo genere di piattaforme si trasformano in un pantano dal quale è difficilissimo emergere. Con pochi ascolti si hanno pochi soldi, con pochi soldi è difficile finanziarsi e quindi riuscire a diventare musicisti di professione.

Sperando che le piattaforme di streaming non riescano a fare danni eccessivi, continuate a supportare i piccoli artisti ed a scoprirne sempre di nuovi. Usato con intelligenza, Spotify vi può aggiornare sulle nuove uscite più interessanti, senza incappare per forza in Despacito.

Tommaso Rocchi
Chi è Tommaso Rocchi
Avidissimo divoratore di musica (e di buona cucina in generale), qui in radio mi occupo della programmazione musicale e di scovare artisti che non avete ancora mai sentito nominare. Se cercate un consiglio musicale, sapete a chi potete chiedere!
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