La rivincita dei Teen Idol

Jonas Brothers. Justin Bieber. One Direction. Se questi nomi vi fanno rizzare i peletti sul collo non spaventatevi, è perfettamente normale. Solo pochi anni fa eravamo perseguitati da questi teen idol, con canzoni al limite dell’orrido, videoclip imbarazzanti e peggio di tutto, una fanbase con gravi problemi di autostima.

Il mondo del pop ha sempre avuto i propri idoli: partendo dai Duran Duran e Spandau Ballet, le case discografiche avevano notato come un bel faccino aiutasse considerevolmente ad aumentare la popolarità (e conseguentemente le vendite) di un artista. Pensate a cosa sarebbero diventati gli Aerosmith se Steven Tyler fosse stato più simile a Simon Le Bon.

E fin qui nulla di male, come per tutte le cose anche l’occhio vuole la sua parte. I problemi seri arrivano negli anni ’90 con la nascita delle boy-band. Formazioni come Take That, N-Sync, Backstreet Boys e Blue hanno monopolizzato le classifiche per decine di anni unicamente grazie al fatto di essere bellocci, inutile negarlo. L’industria discografica ha iniziato a progettare a tavolino l’estetica, oltre alle canzoni, dei singoli membri del gruppo, standardizzandone la personalità secondo dei canoni precisi.

Ancora una volta, i Simpson hanno dipinto magnificamente la situazione:

Ma cosa è cambiato negli ultimi anni? Anzitutto l’abbassamento dell’età media della fanbase. La televisione ha avuto un grandissimo ruolo nel portare alla luce nuove icone rivolte ad un pubblico più giovane: Disney Channel ha sdoganato Miley Cirus, Selena Gomez e gli stessi Jonas Brothers, un prodotto studiato a tavolino per avere presa su una fascia di pubblico molto giovane. Se avete cugine o nipoti più piccole avrete sicuramente sentito parlare di Violetta, alias Martina Stoessel, e dell’incredibile giro di denaro che è in grado di muovere il brand. I biglietti in prima fila per i suoi concerti arrivavano a costare ben oltre i 200 euro.

Anche i talent show e lo stesso web hanno avuto un ruolo di primaria importanza nella creazione di nuovi idol. Justin Bieber è stato notato grazie alle cover che pubblicava su Youtube e gli stessi One Direction vengono dall’edizione UK di The X Factor. Anche qui la formula rimane la stessa: si prendono dei bei ragazzi, che sappiano cantare decentemente e si crea un vero e proprio brand dal valore di milioni di dollari da dare in pasto a truppe di ragazzine adoranti, dove la musica è paradossalmente relegata in secondo piano. Giusto per intenderci, i cinque album della boy-band inglese sono stati pubblicati a non più di un anno di distanza l’uno dall’altro.

Eppure qualcosa è cambiato. Molti di questi cantanti, vuoi per insofferenza personale o per un astuto programma di marketing, hanno reinventato la propria immagine e soprattutto il loro sound. Il primo a rassegnare le dimissioni dai One Direction è stato Zayn Malik: in una sua recente intervista su Beats 1 il cantante ha dichiarato di “non essere mai stato soddisfatto della band e dalla direzione che aveva preso”. Quando hai 23 anni e fai musica rivolta ad un pubblico di preadolescenti un certo moto di ribellione viene praticamente spontaneo, anche solamente per il gap di età che si forma fra l’artista e il pubblico di riferimento. Iniziano così le prime collaborazioni con artisti più “maturi” e decisamente lontani dalle canzoni commericali come Kehlani, PARTYNEXTDOOR e soprattutto M.I.A., che con il pubblico tipico dei One Direction centra meno dell’ananas sulla pizza.

Justin Bieber è stato un altro che ha voluto dare un cambio completo alla sua musica, passando da brani orribili come BabySorry, che se dimenticate un attimo chi è il personaggio che la canta è pure una bella canzone. Merito soprattutto della produzione di Diplo e Skrillex, che ha dato un sound decisamente più contemporaneo all’intero album.

Ma il vero colpo di scena degli ultimi giorni è stato il nuovo singolo di Harry Styles. Ignorando qualsiasi regola della musica pop, l’ex One Direction pubblica una ballata dalle forti atmosfere anni ’70 della durata di 5 minuti e 40, un tempo monumentale che di fatto la escluderebbe da qualsiasi passaggio radiofonico. Eppure Sign of The Times ha fatto centro, imponendosi nelle classifiche come una canzone effettivamente molto bella.

Si tratta perciò di un’effettiva presa di posizione dei cantanti, stufi di essere dei semplici pupazzetti belli da vedere adatti unicamente a stare bene sui poster nelle camerette dei preadolescenti? Oppure non è altro che una manovra di marketing, un‘adeguamento al pubblico iniziale che, inevitabilmente, è cresciuto negli anni? Difficile capirlo, se non altro le nostre orecchie ne hanno guadagnato.

Tommaso Rocchi
Chi è Tommaso Rocchi
Avidissimo divoratore di musica (e di buona cucina in generale), qui in radio mi occupo della programmazione musicale e di scovare artisti che non avete ancora mai sentito nominare. Se cercate un consiglio musicale, sapete a chi potete chiedere!
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