Guida alla musica italiana per stranieri

Ammettiamolo, è successo a ognuno di noi di avere quella lezione di inglese/tedesco/francese/ spagnolo da dover studiare e non avere la voglia di farlo, magari per una fastidiosa certificazione da tre crediti necessaria per il piano di studi. O perché no, ci sarà anche capitato di dire, in preda a un qualche delirio mistico: “Potrei imparare una lingua straniera!” ma piuttosto che armarsi di libri di grammatica e di eserciziari ci siamo fiondati su serie tv e film in lingua originale e ci siamo imparati a memoria i testi delle nostre canzoni preferite che, molto probabilmente, fino ad allora non sapevamo nemmeno di cosa stessero parlando. Di sicuro questo è un ragionamento comune anche all’estero, ma cosa potrebbero ascoltare degli eventuali stranieri intenzionati a imparare l’italiano? E’ interessante notare come per ogni Enrique Iglesias, O-Zone e Alvaro Soler che ci siamo ritrovati nelle classifiche, gli stranieri hanno a che fare con Laura Pausini, Eros Ramazzotti e Toto Cutugno (tra le 50 e le 100 milioni di copie vendute all’estero) ed è quindi probabile che possa sfuggire loro gran parte di un più sollecitante repertorio nostrano, nonostante questi nomi siano tutti fenomeni pop di incredibile successo.

Nel corso della storia della musica leggera, l’Italia ha raggiunto vette notevoli in diversi ambiti e alcune correnti del passato sono ricordate tutt’oggi con grande interesse. Proprio in questo caso non si può non citare la storica scena tricolore del rock progressivo. Gli Area, la PFM, il Banco, Le Orme e chi più ne ha più ne metta, tutti gruppi che si sono evoluti a partire dagli anni Settanta con il pallino per i grandi maestri inglesi ma anche, in diversi casi, per la tradizione nostrana unita alla musica colta in grado di rompere gli schemi della canzone. Molti di questi musicisti sorgevano da una ben meno sofisticata scena beat che era riuscita a contraddistinguersi a livello nazionale soprattutto per una serie di cover tradotte in italiano di grandi successi stranieri come Bang Bang, Senza Luce, Ragazzo di Strada. Erano gli anni Sessanta e forse proprio grazie a questa trovata del tradurre una canzone e reinterpretarla molta gente ha potuto approcciarsi all’inglese per la prima volta. Fu proprio per questo che gran parte della scena beat italiana venne aspramente criticata dai più. Per quanto bravi potessero essere certi musicisti, l’originalità era praticamente nulla, senza contare che in diverse occasioni la traduzione era alquanto imbarazzante per una serie di ovvi motivi fono-semantici

Per affrontare la musica cantata in una lingua totalmente straniera forse l’ideale sarebbe procedere per piccoli passi, affidandosi in primo luogo a un genere possibilmente familiare e lasciarsi quindi trasportare da sonorità “amiche” senza considerare, in primo luogo, il vero significato della canzone ascoltata, trovando un equilibrio tra musica e la musicalità del testo cantato. Una musica che potrebbe funzionare per questo primo approccio è proprio il progressive rock, dove la presenza della voce è quantitativamente marginale rispetto agli altri strumenti ma i brevi testi risultano comunque essere molto interessanti dal punto di vista lessicale. Forse il più grande ostacolo potrebbe essere una musica troppo articolata strumentalmente ma tra i vari nomi citati il Banco del Mutuo Soccorso è un gruppo perfetto con cui iniziare, rispecchia in pieno i caratteri principali del genere ma si concede anche qualche brano facile.

Dopo il progressive rock, un ascoltatore in erba potrebbe muoversi verso il cantautorato puro, da sempre ispirato al folk revival di stampo statunitense. Il nome giusto con cui partire, per diversi aspetti, è di sicuro Fabrizio De André: rime, metafore, capacità di raccontare delle storie articolate in pochi versi, ma anche linee melodiche semplici e immediate, una scansione lenta delle parole e una grandissima sperimentazione sonora che contraddistingue ogni suo album. Faber forma l’anello di congiunzione ideale tra il prog e il folk italiano grazie soprattutto ai due dischi dal vivo (In concerto – Arrangiamenti PFM, 1979 – 1980) realizzati insieme alla Premiata Forneria Marconi la quale arrangia e reinterpreta l’accompagnamento strumentale dei brani del poeta genovese.

De Andrè riuscì a unire la tradizione popolare a sperimentazioni sonore, come fecero anche altri autori come Battisti (Anima Latina, 1974) e il primo Battiato (Fetus/Pollution, 1972; Sulle corde di Aries, 1973). Il cantautorato italiano venne così elevato verso una prospettiva più internazionale, muovendosi in una direzione totalmente opposta a quella di altri capisaldi come Guccini o Tenco, autori di bellissimi testi ma forse non abbastanza variegati musicalmente e troppo incentrati sulle parole per poter coinvolgere qualcuno che non mastica bene la lingua. Non è un caso comunque che anche il cantautorato si muova verso l’estero: la musica leggera italiana sin dai tempi del beat ha cercato di abbracciare sonorità provenienti da tutto il mondo, coprendo tra gli anni Settanta e Ottanta il punk e la new wave (CCCP, Skiantos, Diaframma), ma anche vari crossover tra l’alternative, la musica elettronica, il rap e il pop dei gruppi degli anni Novanta, fino al più attuale indie-punk di chiaro stampo inglese.
Un perfetto esempio di commistione di generi che fungono da tappeto ai testi, vero fulcro della sua musica, è Caparezza. Rapper che da diversi anni si dichiara appassionato di musica rock e soprattutto estraneo alla cultura hip hop e che propone un meticciato che spazia dal rap al rock, passando per il reggae e il pop, con testi ricchi di giochi di parole e accenti che agiscono sulla metrica del testo. Anche la voce stessa di Caparezza, nasale e inconfondibile, e il suo flow, che si muove tra le rime con gran disinvoltura, giocano un ruolo fondamentale per la musicalità dei brani.

“Potere alla parola!” gridava Frankie hi-NRG in una sua canzone, ed effettivamente quale genere migliore per concludere questo corso sghembo d’italiano in musica se non con il rap. Base ridotta all’osso, groove semplice e batteria regolare. Strofa e ritornello. Dagli anni Novanta il rap italiano ha iniziato a spopolare tra i giovani affascinati dalla cultura hip hop proveniente dagli Stati Uniti e da qui nascono tra i parolieri più interessanti di quest’arte povera musicale. Kaos One, Lord Bean, ma soprattutto Frankie hi-NRG, fino ad arrivare ai contemporanei Rancore e Murubutu, veri autori di storie dalle ricchissime di sfumature, e di concept album in stile rock progressivo, quindi legati allo sviluppo di una storia o di un tema comune.

Forse imparare una lingua straniera tramite le canzoni non è il metodo più efficace ma è di sicuro un esercizio divertente e soprattutto è un’ottima opportunità per ampliare il proprio bagaglio culturale, basta solo non barare usando il traduttore di Google.