Dov’è finito Jim Carrey?

Quando si pensa ad una superstar, spesso si scade nella proiezione del suo personaggio. Pensiamo a Jim Carrey, per esempio, ed è subito lo sfigato in Una Settimana Da Dio, il romanticone di Se Mi Lasci Ti Cancello, la grottesca verde di The Mask. Ma quando i riflettori si spengono, queste persone lasciano il set allo stesso modo con cui noi ci lasciamo alle spalle la porta dell’aula studio. Smaterializzare l’icona che spesso avvolge la figura delle persone famose è un passo che, paradossalmente, ci avvicina di più a loro, e anche alle loro scelte.

Durante questo periodo di pausa dalle riprese cinematografiche l’attore canadese si sta concentrando su di sè e nel breve documentario I Needed Colour ci mostra come abbia trovato la sua valvola di sfogo proprio nella pittura.

Il colore come “terapia per guarire un cuore spezzato”. Jim si avvicina alla tela in modo genuino, lascia che i pensieri scorrano fluidi lungo le terminazioni nervose, che invadano l’autocontrollo fino alla sua resa. Non usa solo il pennello, ma anche tubi di colore direttamente spremuti sul supporto, secchiate che creano quell’effetto di tinta unita, collage di vari materiali.

Jim spiega che, una volta finiti, sono i quadri a dirti quello che stai cercando, a fare chiarezza sui pensieri, a farti superare le paure. Una dimensione, quella artistica, che nasce dalla mente e diventa concreta, che nel processo di realizzazione assume un carattere tutto suo fino a restituirti informazioni e sentimenti a cui la tua razionalità non aveva pensato. L’attore non è dunque solo “gossip e lussuria”, ma è una persona a stretto e costante contatto con l’arte ed in questo caso (non ringrazieremo mai abbastanza Jim per i dolori alla milza, causa grasse risate) dotato di una particolare sensibilità che parla anche con linee, sagome, colori, materia.